PIANO COMUNALE DI PROTEZIONE CIVILE - Comune di Valguarnera
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Rischio maremoto
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Tutte le coste del Mediterraneo sono a rischio maremoto a causa dell’elevata sismicità e della presenza di numerosi vulcani attivi, emersi e sommersi. Negli ultimi mille anni, lungo le coste italiane, sono state documentate varie decine di maremoti, solo alcuni dei quali distruttivi. Le aree costiere più colpite sono state quelle della Sicilia orientale, della Calabria, della Puglia e dell’arcipelago delle Eolie. Maremoti di modesta entità si sono registrati anche lungo le coste liguri, tirreniche e adriatiche.
Tutte le coste del Mediterraneo sono a rischio maremoto a causa dell’elevata sismicità e della presenza di numerosi vulcani attivi, emersi e sommersi. Negli ultimi mille anni, lungo le coste italiane, sono state documentate varie decine di maremoti, solo alcuni dei quali distruttivi. Le aree costiere più colpite sono state quelle della Sicilia orientale, della Calabria, della Puglia e dell’arcipelago delle Eolie. Maremoti di modesta entità si sono registrati anche lungo le coste liguri, tirreniche e adriatiche. Le coste italiane possono inoltre essere raggiunte da maremoti generati in aree del Mediterraneo lontane dal nostro Paese (ad esempio a causa di un forte terremoto nelle acque della Grecia).
Dal 2005 l’Italia partecipa al sistema di allertamento internazionale per il rischio maremoto nel Nord Est Atlantico, Mediterraneo e Mari collegati NEAMTWS, sotto il coordinamento dell’ IOC - Intergovernmental Oceanographic Commission dell’Unesco. Si tratta di un sistema analogo a quello già operante nell’area del Pacifico, dei Caraibi e dell’Oceano Indiano, dove sono già attivi sistemi di allertamento rapido (Early Warning), con la differenza che in un mare poco ampio, come il Mar Mediterraneo, i tempi di arrivo delle onde sono molto brevi e questo riduce i tempi utili per allertare la popolazione.
Nel 2017 è stato istituito, con una Direttiva del Presidente del Consiglio dei Ministri, il SiAM – Sistema di Allertamento nazionale per i Maremoti generati da sisma, di cui fanno parte tre istituzioni: l’Ingv – Istituto Nazionale di Geofisica e Vulcanologia che opera attraverso il Cat – Centro Allerta Tsunami, l’Ispra – Istituto Superiore per la Protezione e la Ricerca Ambientale e il Dipartimento della Protezione Civile. Il 15 novembre 2018 sono uscite in Gazzetta Ufficiale le Indicazioni che il Capo Dipartimento della protezione civile rivolge a Componenti e Strutture Operative per l’aggiornamento delle rispettive pianificazioni di protezione civile per il rischio maremoto.
Descrizione del rischio
Le coste del Mediterraneo sono a rischio maremoto, non soltanto a causa della sismicità dell’area, ma anche per la presenza di numerosi vulcani emersi e sommersi. Tuttavia, se si producesse un maremoto nel Mar Mediterraneo – un bacino chiuso e poco profondo – non avrebbe la stessa forza e intensità di un maremoto che si sviluppa nell’Oceano, dove si verificano terremoti con magnitudo e frequenza di gran lunga superiori a quelli che si registrano nell’area mediterranea e le masse d’acqua in gioco sono notevolmente maggiori. Ciò non toglie però, come storicamente dimostrato, che nell’area mediterranea a seguito di eventi sismici particolarmente energetici o di fenomeni franosi sottomarini, possano originarsi maremoti distruttivi, anche a causa della forte urbanizzazione delle aree costiere.
Il maremoto si manifesta come un rapido innalzamento del livello del mare o come un vero e proprio muro d’acqua che si abbatte sulle coste, causando un’inondazione che invade la fascia costiera. A volte si osserva un iniziale e improvviso ritiro del mare, che lascia in secco i porti e le spiagge. Le onde di maremoto hanno molta più forza rispetto alle mareggiate e sono in grado di spingersi nell’entroterra anche per molte centinaia di metri (addirittura chilometri, se la costa è molto bassa), trascinando tutto ciò che trovano lungo il percorso: veicoli, barche, alberi, e altri materiali, che ne accrescono il potenziale distruttivo.
Propagazione ed effetti dell’onda sulla costa sono influenzati da fattori morfologici - come la linea di costa o la topografia del fondale marino e dell’entroterra – e antropici, legati all’utilizzo del suolo. Le aree portuali, ad esempio, per la loro conformazione possono amplificare l’energia del maremoto, mentre la presenza di edifici e moli lungo la costa può ridurre la propagazione dell’onda verso l’interno. Le onde di maremoto possono anche risalire dalla foce lungo il corso di fiumi e torrenti, propagandosi nell’entroterra.
Oltre agli effetti legati direttamente all’azione dell’onda in movimento, il maremoto può innescare tutta una serie di effetti secondari: l’inondazione infatti può innescare eventi franosi, inquinamento delle falde, o incendi. L’impatto sui porti e sugli impianti industriali può causare l’emissione e la diffusione di materiali inquinanti.
Allegati:
Segnaletica Rischio maremoto formato .pdf vettoriale (4561 Kb) |
Segnaletica maremoto (4562 Kb) |
Rischio industriale
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La presenza sul territorio di stabilimenti industriali, che utilizzano sostanze chimiche per le loro attività produttive, espone la popolazione e l’ambiente circostante al rischio industriale.
In seguito a un incidente in un insediamento industriale è infatti possibile che si sviluppi un incendio, con il coinvolgimento di sostanze infiammabili, un’esplosione, con il coinvolgimento di sostanze esplosive, o una nube tossica, con il coinvolgimento di sostanze che si liberano allo stato gassoso e danni immediati o differiti all’interno e all’esterno dello stabilimento.
Un incidente industriale può, quindi, provocare danni alla salute e all’ambiente.
Gli effetti sulla salute in caso di esposizione a sostanze tossiche rilasciate nell’atmosfera durante l’incidente variano a seconda delle caratteristiche delle sostanze, della loro concentrazione, della durata d’esposizione e dalla dose assorbita.
Gli effetti sull’ambiente sono legati alla contaminazione del suolo, dell’acqua e dell’atmosfera da parte delle sostanze tossiche. Gli effetti sulle cose riguardano invece principalmente i danni alle strutture.
Le conseguenze di un incidente industriale possono essere mitigate dall'attuazione di piani di emergenza adeguati, sia interni sia esterni. Questi ultimi prevedono anche misure di autoprotezione per la popolazione potenzialmente interessata dallo scenario incidentale.
La normativa in Europa e in Italia
Il 10 luglio 1976, nello stabilimento della società Icmesa di Meda, in Lombardia, un reattore destinato alla produzione di triclorofenolo perde il controllo della temperatura. L'apertura delle valvole di sicurezza evita l'esplosione del reattore, ma l'alta temperatura provoca una modifica della reazione in atto con la formazione di una sostanza classificata in seguito come diossina.
La diossina rilasciata in aria forma una nube tossica che i venti spostano verso Cesano Maderno, Desio e Seveso, il Comune più colpito da questo incidente, tra i più gravi mai registrati in Europa.
L’incidente ha gravi effetti sulla salute dei lavoratori e degli abitanti della zona esposti alla nube tossica, che ha ripercussioni anche di tipo ambientale con la contaminazione del territorio circostante.
Il grave incidente di Seveso induce la Comunità Europea a dotarsi di una normativa diretta a controllare i pericoli di incidenti causati da sostanze pericolose.
Nel 1982 viene emanata la prima direttiva comunitaria, meglio conosciuta come Seveso I. Recepita nell’ordinamento giuridico italiano con il decreto del Presidente della Repubblica n. 175 del 1988 - sostituito con il decreto legislativo n. 334 del 1999 - rende efficace la direttiva emanata dalla Comunità Europea nel 1996. Il decreto legge n. 238 del 2005 introduce ulteriori disposizioni per garantire la sicurezza industriale nel nostro Paese, rendendo valide in Italia le prescrizioni contenute nella direttiva comunitaria 2003/105/CE sul “Controllo dei pericoli di incidenti rilevanti connessi con determinate sostanze pericolose”.
Rischio vulcanico
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Il vulcanismo in Italia deve la sua origine ad un ampio processo geologico che ha interessato tutta l’area mediterranea, legato alla convergenza tra la placca tettonica eurasiatica e quella africana.
Il processo, iniziato 10 milioni di anni fa, contemporaneamente alla costruzione dei rilievi montuosi della catena appenninica, è dovuto allo scorrimento della placca africana sotto quella euroasiatica e alla conseguente formazione di aree caratterizzate da vulcanismo. È infatti in queste aree che, all’interno della terra, si realizzano le condizioni per la formazione dei magmi e per il loro trasporto verso la superficie.
Sebbene meno frequenti e devastanti dei terremoti, le eruzioni vulcaniche rappresentano un forte rischio per le zone densamente popolate del territorio italiano.
Descrizione del rischio
Sebbene meno frequenti e devastanti dei terremoti, le eruzioni vulcaniche rappresentano un forte rischio per le zone densamente popolate del territorio italiano.
Il rischio vulcanico si può definire come il prodotto della probabilità di occorrenza di un evento eruttivo per il danno che ne potrebbe conseguire.
Il rischio è traducibile nell'equazione R = P x V x E, dove:
P = Pericolosità (Hazard): è la probabilità che un fenomeno di determinata intensità si verifichi in un certo intervallo di tempo e in una data area;
V = Vulnerabilità: la vulnerabilità di un elemento - persone, edifici, infrastrutture, attività economiche - è la propensione a subire danneggiamenti in conseguenza delle sollecitazioni indotte da un evento di una certa intensità;
E = Esposizione o Valore esposto: è il numero di unità, o “valore”, di ognuno degli elementi a rischio, come vite umane o case, presenti in una data area.
In generale la Vulnerabilità delle persone e degli edifici risulta sempre elevata quando si tratta di fenomenologie vulcaniche. Il rischio è minimo solo quando lo sono anche la Pericolosità o il Valore esposto. E’ il caso di vulcani "estinti"; vulcani che presentano fenomenologie a pericolosità limitata; oppure di vulcani che si trovano in zone non abitate.
Quanto maggiore è la probabilità di eruzione, tanto maggiore è il rischio. A parità di Pericolosità invece il rischio aumenta con l’aumentare dell’urbanizzazione dell’area circostante il vulcano. Per fare un esempio, il rischio è più elevato per il Vesuvio, nei cui dintorni vivono circa 600 mila persone, piuttosto che per i vulcani dell'Alaska, che si trovano in zone a bassa densità di popolazione.
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